Proseguiamo oggi la nostra serie di brevi interviste ai protagonisti del CISP con cinque domande a Gianluca Falcitelli, Direttore dell’area geografica Mediterraneo e Medio Oriente.
Era agli inizi degli anni '80. Insieme a un gruppo di amici con esperienze diverse di impegno civile, politico e solidale, sentivamo il bisogno di allargare il nostro impegno anche a livello internazionale, così abbiamo deciso di creare un'associazione capace di promuovere azioni di solidarietà e di intervenire concretamente nelle aree del mondo segnate da povertà e ingiustizia.
All'inizio eravamo una ventina di persone. Molti di noi studiavano ancora o avevano iniziato da poco a lavorare, ma tutti condividevamo la volontà di renderci utili.
Nata come organizzazione di volontariato, dove ognuno offriva il proprio tempo e risorse economiche, il CISP ha visto il suo primo progetto in Somalia, un'iniziativa sanitaria per migliorare i servizi di base per donne e bambini in una zona rurale, finanziata con contributi privati e donazioni.
Poi ci sono stati i viaggi in diversi paesi, tra cui Colombia, Etiopia e Argentina, dove abbiamo individuato nuove proposte progettuali in svariati settori: dallo sviluppo agricolo alla pesca artigianale, dallo sviluppo rurale alla sanità pubblica.
Inizialmente sostenuti da donazioni private, col tempo abbiamo ottenuto finanziamenti da istituzioni come la Commissione Europea e la Cooperazione Italiana, ampliando il nostro raggio d'azione e coinvolgendo diversi esperti e istituzioni italiane. E poi siamo sempre andati avanti.
In quest’area lavoriamo in vari paesi come Algeria, Palestina, Libano, Tunisia, Giordania. Il CISP è attivo in vari settori con progetti di sviluppo, come il miglioramento delle infrastrutture idriche in Libano (il settore WASH, che comprende acqua e servizi igienico-sanitari), l'educazione (programmi educativi e riabilitazione di edifici scolastici), la salute, lo sviluppo economico, il turismo sostenibile, e altri.
Per fare alcuni esempi, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza abbiamo lavorato nel settore sanitario, socioeducativo, e dello sviluppo economico e abbiamo sostenuto comunità rurali come i Beduini, a rischio sia per via dell'occupazione dei territori sia per i cambiamenti climatici. In Libano abbiamo realizzato un programma decennale per potenziare il sistema di emergenza e pronto soccorso della Croce Rossa Libanese, mettendola in contatto il 118 della Regione Lazio.
Un altro settore importante in cui lavoriamo è il settore degli aiuti umanitari e di emergenza, in particolare a favore dei rifugiati siriani e palestinesi e delle popolazioni sfollate in Libano, mentre nei campi profughi Saharawi nel Sud dell’Algeria assistiamo la popolazione rifugiata con interventi di carattere alimentare, educativo e sanitario.
In passato ho lavorato anche in Tibet e in Cina dove abbiamo lavorato sul sistema di pronto soccorso e medicina d'urgenza, favorendo anche qui il collegamento tra esperti e strutture sanitarie italiani e strutture sanitarie locali. Abbiamo contribuito anche alla ricostruzione di case e servizi sanitari in Sri Lanka dopo lo tsunami del 2004.
Vent'anni fa l'aiuto materiale, come ad esempio la fornitura di beni, attrezzature o equipaggiamenti, era prioritario, fondamentale a causa della mancanza di risorse nei paesi in cui operavamo. Oggi, invece, in molti paesi la disponibilità di risorse economiche o materiali non è il problema principale. Il problema principale è come queste risorse vengono distribuite, poiché spesso si concentrano in determinate categorie di popolazione o interessi privati, creando disuguaglianze. Ad esempio, in molti paesi per settori come la sanità e l’educazione spesso il settore privato è privilegiato a scapito del settore pubblico, limitando l'accesso di servizi di qualità a una fascia ristretta della popolazione.
Quindi abbiamo cambiato approccio, concentrandoci non solo sulla fornitura di materiali laddove ancora necessari, ma soprattutto sul miglioramento dell’organizzazione dei servizi di base, per renderli più accessibili ai gruppi di popolazione più svantaggiati. Abbiamo promosso collegamenti e collaborazioni tra istituzioni che gestiscono servizi simili in paesi diversi, favorendo lo scambio di conoscenze e nuove soluzioni organizzative per migliorare l’organizzazione e l’accessibilità dei servizi.
Il nostro lavoro oggi ha anche un valore fortemente politico. La nostra presenza in alcune aree del mondo in cui esistono, ad esempio, palesi violazioni dei diritti umani, contribuisce a rompere l'isolamento di quei paesi, mantenendo viva l'attenzione della comunità internazionale. In definitiva è un lavoro che mira a contribuire ad un cambiamento politico duraturo.
Parto dal fondo. Questo lavoro non mi ha tolto niente e non ho sacrificato nulla per farlo. Mi considero fortunato e privilegiato a fare un lavoro che mi ha permesso di unire la mia professionalità con le mie aspirazioni di impegno sociale e solidale. All’inizio, più di 40 anni fa, eravamo tutti giovani e con esperienza limitata, ma con il tempo abbiamo acquisito professionalità ed esperienza e questo ci ha consentito di fare il nostro lavoro in maniera sempre più efficace. Al centro di tutto c’è sempre stato l'entusiasmo di fare qualcosa per rendere il mondo un posto migliore.
Come diceva Paolo Dieci, mio carissimo amico e compagno di scuola, con il quale ho condiviso l’esperienza di fondare il CISP e tenerlo in vita negli anni: “Forse non saremo in grado di cambiare il mondo, ma la vita di qualcuno, quella sì”. E questa è già una grande soddisfazione.
Il mondo della cooperazione internazionale è molto cambiato rispetto a quarant'anni fa, quando abbiamo cominciato. Ora è più difficile entrare in questo settore, sia perché sono diminuite le risorse disponibili, sia perché il lavoro stesso richiede una maggiore professionalità. Oggi la cooperazione internazionale ha bisogno di professionisti competenti in diversi settori, capaci di coniugare le proprie competenze con una sincera motivazione di solidarietà e impegno sociale.
È un lavoro molto particolare, che richiede al tempo stesso professionalità e un forte desiderio di aiutare gli altri. Per questo, consiglio a chi vuole intraprendere questa strada di costruirsi una solida professionalità nel proprio campo, quello che gli sia più congeniale o che gli piaccia di più, e poi di spenderla nella cooperazione internazionale, a beneficio delle persone che vivono in condizioni più svantaggiate.
Leggi la prima intervista di questa serie, a Deborah Rezzoagli, e continua a seguire queste pagine per i prossimi appuntamenti!